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Berlusconi fermò le stragi di mafia diventando il riferimento dei boss

By 28 Luglio 2017No Comments

L’intervista del Fatto Quotidiano ad Antonio Ingroia sul sistema criminale di mafia, ‘ndrangheta, pezzi deviati dei servizi segreti e massoneria deviata che si saldò agli inizi degli anni Novanta con la fine della Prima Repubblica. Sistema su cui per prima indagò la Procura di Palermo e che ha trovato conferma dalle nuova indagine disposta dalla Procura di Reggio Calabria che ha portato agli arresti dei mandanti dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo del 1994:

“Possiamo dire che Berlusconi fermò il sangue e le stragi”. Antonio Ingroia – avvocato di parte civile delle famiglie dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi nel 1994 in Calabria, rivede pezzi del suo lavoro da pm di Palermo incasellati nell’inchiesta ‘ndrangheta stragista della Procura di Reggio. “Un’opera meritoria quella dei pm reggini”.

Ci sono i tasselli mancanti alle sue inchieste?
“Avevamo tracce di contatti e tentativi del coinvolgimento di altre mafie nel progetto golpista in campo negli anni 90. Non avevamo le prove…”.

Adesso crede che ci siano?
“Sono il legale anche del collaboratore di giustizia Armando Palmeri: è stato convocato dal pm Giuseppe Lombardo proprio per approfondire la questione del rapporto tra mafie e Servizi. Secondo me Reggio è sulla pista giusta e ha elementi solidi”.

Non crede che l’inchiesta abbia un punto debole? E’ basata sulle dichiarazioni di pentiti neppure di primissimo piano…
In apparenza è un’indagine costruita sui collaboratori di giustizia, ma è anche frutto di un’accurata indagine di polizia giudiziaria, diciamo tradizionale, basata su prove documentali e testimonianze. Mi riferisco, ad esempio, al coinvolgimento di parte del movimento leghista, della massoneria, dei Servizi e dell’eversione nera. Ci sono, insomma, singolari sintonie tra le versioni dei “pentiti” e le prove storico-documentali”.

Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha detto che le mafie fermarono la strategia stragista quando “trovarono nel nuovo partito di Forza Italia la struttura più conveniente con cui relazionarsi”. Sembra di sentire Ingroia, non trova?
“Lo dissi al processo Dell’Utri e lo ripeterà anche Nino Di Matteo nella requisitoria del processo Trattativa Stato-mafia. Si minacciava il golpe finché Silvio Berlusconi, attraverso il suo ambasciatore Marcello Dell’Utri (attualmente in carcere per concorso esterno), diventarono i nuovi interlocutori di Cosa nostra. E, quindi, delle bombe non ci fu più bisogno”.

Quindi dobbiamo a Berlusconi e Dell’Utri la fine delle stragi di mafia?
Paradossalmente sì. Però hanno poi neutralizzato la strumentazione legislativa disarmando la magistratura. Con Gian Carlo Caselli a Palermo arrivammo vicini a sconfiggere Cosa nostra, sarebbe stata una svolta epocale, ma non è stato possibile portare a termine il lavoro. E anche questo lo dobbiamo a Berlusconi e Dell’Utri”

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